Quando ogni lacrima è coccodrillo.
Lacrime selettive
In questi tempi ci battiamo il petto per invocare la pace. Ne parliamo tanto, manifestiamo, scioperiamo in suo nome, organizziamo dibattiti televisivi e incontri diplomatici tra pinguini in cravatta.
Noi europei non viviamo una guerra combattuta sul nostro territorio da ottant'anni. È una grande vittoria, senza dubbio, frutto della lungimiranza di chi ha immaginato un’Europa unita. Gli Stati Uniti d’Europa ancora non esistono, ma almeno sul nostro suolo, scavando, troviamo bombe di ottant’anni fa, non ordigni ultramoderni.
Peccato che questo continuo battersi il petto ci renda ciechi, o meglio, diversamente ciechi. Perché dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi, decine di conflitti continuano a mietere vittime in tutto il mondo.
Le guerre dimenticate
Ecco un elenco, in ordine alfabetico, di alcuni dei conflitti in atto: Afghanistan, Algeria, Angola, Azerbaigian, Birmania (Myanmar), Brasile, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Ciad, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Filippine, Georgia, Haiti, India, Indonesia, Iran, Iraq, Israele, Libia, Mali, Marocco (Sahara Occidentale), Messico, Mozambico, Nigeria, Pakistan, Palestina, Repubblica Centrafricana, Russia, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria, Thailandia, Tunisia, Turchia, Ucraina, Venezuela, Yemen (fonti Wikipedia e Geopop).
Ogni conflitto in atto, qualunque ne sia la causa — dalla contesa territoriale ai conflitti etnici e religiosi, dai cambiamenti climatici che spingono alle migrazioni, fino al controllo delle risorse — ha come unico risultato quello di trasformarsi in un fiume in piena che trascina uomini, donne e bambini verso la morte.
Spesso si tratta di una morte lenta e dolorosa, fatta di paura, stenti, fame, malattie, violenze inaudite, piedi scalzi e lacrime… finché ne restano. I morti non sono più persone, ma solo numeri: a volte sepolti in fosse comuni senza volto, altre volte smembrati in un campo, dimenticati da chi non ha mai voluto vedere. Dimenticati da chi ancora oggi non vuole vedere.
L' ipocrisia
Noi oggi piangiamo per Gaza, ed è giusto. Prestiamo attenzione all’Ucraina, ed è giusto. Riteniamo inaccettabile quello che succede a Gaza, ed è giusto.
Ma chi piange per le donne e le bambine che, in Congo, vengono sistematicamente stuprate come strumento di dominio territoriale? Chi prega per i Rohingya, che in Myanmar vengono cacciati, uccisi e bruciati vivi? Chi ha portato una corona di fiori sulle fosse comuni in Sudan? Chi si fa carico del fatto che lo Yemen è, attualmente, il paese più povero del mondo? Chi si ribella ai massacri del gruppo Boko Haram in Nigeria? Chi si preoccupa della spirale di violenza che, dal 1991, non ha mai abbandonato la Somalia?
Cosa è realmente inaccettabile? Quali morti sono degni realmente di valore? Dobbiamo indignarci a compartimenti stagni o indignarci sempre?
In questo gioco dell'ipocrisia che piange a comando, si indegna a comando, che si batte per un giusto definito sul momento, cerca giustizia per il sangue che scorre solo in un territorio, che non vede volutamente quanto altro sangue innocente la nostra terra sta bevendo, che scegli chi merita pietà e chi può morire nell'assoluta indifferenza la compassione non è più un sentimento è un algoritmo e la giustizia una parola vuota.
Mentre noi, seduti sul divano, normalizziamo la distruzione, la trasformiamo in uno spettacolo da teatrino nei palazzi del potere e sui palchi. Come dice Oxfam Italia: “Molte guerre sono silenziose agli occhi dell’opinione pubblica, ma non per chi le vive.”
Questa frase è devastante, perché mette in luce la natura bastarda di un mondo che considera alcuni popoli degni di misericordia e altri no. Per i primi ci battiamo il petto. Dei secondi non sappiamo nemmeno che esistono.
Abbiamo le lacrime di commozione direttamente proporzionali al telecomando della nostra TV o ai tocchi del nostro telefonino, in base alle immagini e alle informazioni che meglio cavalcano l’onda. Perché anche della morte abbiamo fatto una moda.
Somiglianza negata
Dentro di noi abita il dono di essere a immagine e somiglianza di Dio, ma scegliamo di restare piccoli nei sentimenti di bellezza, e grandi geni in quelli di distruzione e violenza.
Spesso mi chiedo perché siamo ancora qui. Peccando di presunzione, scrivo che forse meritiamo un altro diluvio universale. Poi mi rendo conto che anch’io sono piccola nel fare certi pensieri, e che di certo Dio — nel nome del quale troppo spesso si fa del male — è più intelligente di tutti noi messi insieme.
È difficile parlare di Dio in questi contesti, perché per molti l’esistenza di tutte le atrocità citate è la chiara dimostrazione della sua inesistenza. Ed è vero. L’esistenza delle atrocità della guerra e l’ipocrisia della pace sono il frutto dell’assenza di Dio.
Tutte le volte che brandiamo un’arma e spariamo all’altro, abbiamo scelto di non somigliare a Lui. Tutte le volte che ci caliamo le braghe per violentare donne e bambini, abbiamo scelto di non somigliare a Lui. Tutte le volte che scopriamo una tecnologia e scegliamo di trasformarla in un’arma di distruzione di massa, abbiamo scelto di non somigliare a Lui. Tutte le volte che ignoriamo la storia e non impariamo da essa, scegliamo di non voler assomigliare a Lui. Tutte le volte che restiamo nel silenzio e giustifichiamo il male che facciamo — tutto il male, non soltanto alcuni mali — scegliamo di non somigliare a Lui. Tutte queste volte scegliamo che Dio non esiste.
Così ci arrabbiamo e ci chiediamo dove sia. Cosa fa. Perché non interviene. Magari con delle morti mirate, qualche infarto qua e là per riequilibrare la situazione. Ci arrabbiamo chiedendo un aiuto supremo. Chiedendo che muoiano i cattivi e vivano i giusti. Chiediamo. Ci arrabbiamo. Speriamo. Non guardiamo a cosa le nostre mani fanno, a quanto le nostre parole feriscono, a quelle parole non dette che potrebbero salvare, a quella pacca sulla spalla che non diamo mai, scegliamo di commuoverci adesso per dimenticare domani. Scegliamo di ignorare le violenze e le ingiustizie, le violazioni che tutti i giorni, ogni minuti mietono i diritti fondamentali degli esseri umani, degli esseri viventi aggiungo io, per ampliare la platea. Diritti non acquisiti, diritti innati.
Arrabbiarsi è più facile che prendersi le responsabilità. Dare la colpa ad un altro è più facile che ammettere le nostre colpe. E così, per non assumerci la responsabilità del male che facciamo, del male che siamo per noi stessi , non ci resta altro che negare la sua esistenza o imprecare contro la sua inconsistenza.
Ma la fine delle atrocità parte dal modo in cui decidiamo di usare le nostre mani e le nostre menti.
Non è questione di credo. Non è questione di fede. È questione di genio!
Quando ogni lacrima è coccodrillo, la pace diventa spettacolo e la guerra silenzio. Questo non è un articolo. È una ferita aperta. Leggi. Condividi. Disobbedisci. Fai sentire la tua voce!
Commenti
Posta un commento
Ogni voce vale. L'educazione nell'esprimerla conta di più.