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 L'Arma del Femminismo: Una Lotta Silenziata e Tradita

Ho scoperto, con amara lucidità, che il femminismo – quei movimenti cruciali che, fin dalla fine del Settecento, rivendicano con forza i diritti civili e politici delle donne – viene trattato come una malattia.


Non appena provi a levare una voce in difesa delle donne, vieni immediatamente bollato come "femminista". E non basta: l'accusa si rafforza, si distorce, trasformandoti in una "femminista esagerata". E se sei un personaggio pubblico a difendere la realtà femminile, pur riconoscendo l'inevitabile fallibilità di ogni essere umano, il giudizio è spietato. Diventi la "femminista" che usa la sua popolarità non per costruire valore e memoria ma solo per esibizionismo.


Non importa se la parola "femminismo" racchiude storia,  lotte sanguinose e l'aspirazione insopprimibile all'uguaglianza. Non importa che il femminismo ha come obiettivo il predicare l'uguaglianza che uomini e donne possono portare alla società e alla vita privata. Non importa che questi ideali vengano calpestati e resi irrilevanti. L'unica cosa che conta è che il termine si sia trasformato in un'arma affilata, puntata contro le donne stesse. È un'arma usata persino da quelle donne che, non amando le altre e non amando sé stesse, recidono quel filo rosso che le lega al quel passato che ci ha dato la possibilità di avere una voce e un posto nella società di oggi.

È una beffa che accade in un mondo dove, nella culla della democrazia diretta, la società ateniese (tra il VI e il V secolo a.C.) non considerava le donne cittadine, escludendole al pari degli stranieri e degli schiavi. E questo avviene ancora oggi nel nostro secolo in luoghi come l'Afghanistan e l'Iran.


Non possiamo ignorare l'orrore: donne lasciate morire sotto le macerie perché i soccorritori non parenti non possono toccarle. Atlete arrestate solo per essersi allenate senza velo, la cui sorte scompare nel silenzio delle notizie ufficiali.


Ciò che indigna è che quei movimenti e quelle donne che, nel nostro Occidente, hanno lottato fino allo stremo per essere una forza liberatrice, oggi sono ridotti a un mero fastidio da liquidare con una banale derisione.


Nessuno sembra comprendere la verità fondamentale: se non avessimo avuto le femministe, se non avessimo avuto quelle donne che hanno combattuto con ogni fibra per la dignità delle altre, oggi nessuna di noi avrebbe la libertà di parlare! Nemmeno la libertà di offendere, ricorrendo all'accusa più superficiale: quella di essere una "femminista esagerata".


È giunto il momento di riconoscere la nostra gratitudine e onorare il loro coraggio, invece di tradirlo con l'insulto.

E io, a tutto questo, non ci sto!

Non ci sto ad accettare che la storia venga derisa, che la lotta per la dignità sia un fastidio, e che l'uguaglianza sia una parola usata come arma contro le donne libere. Non ci sto a tradire chi ha combattuto per la mia voce.

Non ci sto e non tradisco chi ha lottato per le mia libertà, e quel che devo a loro non è solo rispetto ma memoria e continua resilienza, in quanto in un attimo può tutto cambiare. 

Il femminismo non è un capriccio, ma un’eredità di lotte che ci hanno permesso di avere voce. 

Se difendere la dignità significa essere una femminista esagerata, allora sì: lo sono, e lo sarò sempre. Perché esagerata è la forza di chi non smette di credere nell’uguaglianza.



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